Oggi, mattina dedicata a una lezione in università (Bicocca, corso di Pedagogia del Corpo di Ivano Gamelli, amico e maestro).
Nonostante lo sciopero dei mezzi, c’erano 70 ragazzi presenti. Il tema, come al solito, era il “mio”, la voce. Nel poco tempo a disposizione abbiamo lavorato intensamente: dal respiro all’ascolto, alla parola e poi al suono, e ancora dal suono alla relazione, di lì al canto (a tre voci) fino ad arrivare a sfiorare il mito. Troppe cose, tutte insieme. Ogni volta, prima di cominciare, mi chiedo come potrò mai fare a interessarli. Ma loro, anche stamattina, erano straordinari: aperti, curiosi, disponibili a mettersi in gioco, pronti a offrire fiducia a questa sconosciuta attempata che chiedeva loro cose non proprio usuali (ruggire una canzone, ballare una parola…). Li guardavo e non riuscivo a non pensare quanto erano belli. Belli, sì: di quella bellezza che non ha niente a che fare con i canoni del tempo, piuttosto con il mistero della vita in potenza che comincia a svelarsi o con la profondità che si esplora quando ci si affida nel gioco e si ac-coglie l’attimo presente. Era la bellezza delle possibilità impreviste, da cercare là dove fino a un attimo prima c’era solo opacità, perché gli sguardi erano distratti, meraviglie che si dischiudevano all’improvviso, appena riuscivamo a scuoterci di dosso gli eccessi di parole. Perché le parole, quando si dimenticano del corpo dal quale provengono, possono sbriciolare ponti e innalzare barriere. Per questo dobbiamo restituire loro le voci e i canti che si levino sopra gli ostacoli e indichino la via per evadere dalle prigioni nelle quali tutti ci dibattiamo. Lezione brevissima, oggi. Me ne torno a casa ricca delle voci di quei ragazzi e anche degli abbracci che qualcuno di loro mi ha regalato, prima di uscire. “Mi ha cambiato la giornata, prof”, mi ha detto una di loro. Anche voi, ragazzi, avete cambiato la mia. Salgo in auto e penso a quanto spesso mi tocca ascoltare i pregiudizi degli adulti sui giovani, colpevoli – a quanto pare – di non assomigliare a come eravamo noi alla loro età. E mi scatta, d’istinto, il monito difensivo: attenzione, adulti, il primo che sbrodola lamentele generiche su questi ragazzi stia in guardia, perché potrei ringhiare. E so farlo benissimo.
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AuthorDomitilla Melloni Archivio
Gennaio 2016
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